Quando videro Agata avvicinarsi
al vialetto della casa della signora Olga, dov'era stata sistemata la
bara visto che in casa non c'era posto, i vicini non proferirono
parola. La guardarono avanzare, titubante con il suo bigliettino in
mano, fino a che li raggiunse. Segnò la bara con l'arnese preso dal
secchiello dell'acqua santa-anche il prete era rimasto basito
vedendola- depositò il biglietto sul vassoio per le condoglianze e
quindi alzò lo sguardo sui presenti e accennò un saluto. Gli altri
abbassarono appena la testa, come a ricambiare, senza dire una
parola, come avendo paura di spezzare quella sorta di incantesimo
scaturito dall'uscita di casa di Agata.
Dopo ciò, il corteo partì,
attraversando la via principale del paese, per raggiungere la chiesa.
Era quello il primo momento in cui normalmente la gente, a disagio
per quel procedere lento-Agata non aveva mai capito il perché di
quella lentezza-a disagio anche per essere pigiati l'uno all'altro,
prendeva coraggio e iniziava a parlare.
Fu così che Agata si ritrovò a
camminare fianco a fianco con il signor Lino, un uomo sui sessanta,
in pensione, che sorrise ad Agata quasi timidamente.
“Ha
già seminato le patate?” chiese d'impulso Agata, meravigliandosi
di essere riuscita a parlare di nuovo con un essere umano. Sapeva che
il signor Lino coltivava due orti che curava con passione quasi
maniacale, lo vedeva a volte spiando dalle tende, sapeva quindi che
quello era un buon argomento di conversazione. Infatti il signor Lino
s'illuminò tutto.
“Oh,
sì! Già l'altra settimana” rispose “ma la terra è secca,
dovrebbe piovere di più” commentò lui, tutto contento.
Evidentemente erano poche le persone che s'interessavano delle patate
che seminava.
“Già,
è un tempo strano” disse felice Agata, introducendo un altro
argomento sempre verde, appunto le condizioni climatiche.
“Sì,
fa troppo vento, secca tutto, spero che cambi, a volte la mattina
gela ancora, pensi un po'. E lei, ha già trapiantato le viole?” Il
signor Lino sapeva che Agata tanti anni prima aveva varie aiuole di
viole, ma che da tanto non le curava più, però gli sembrò
simpatico chiedere. Anche Agata sapeva che lui sapeva, ma le sembrò
scortese far notare l'incuria del suo giardino.
“No,
non ancora, aspettavo per l'appunto che facesse più caldo”
rispose.
“Ah!”
disse il signor Lino, annuendo, pensando al gelo che altrimenti
avrebbe fatto morire le viole di Agata.
Così, per il momento, con quello
scambio incentrato sulla semina delle patate e sui trapianti di
viole, il primo colloquio di Agata da decenni finì lì. Però, pensò
lei, avrebbe anche potuto piantarle di nuovo, le viole. Sì, avrebbe
potuto farlo ancora. Il corteo nel frattempo raggiunse la chiesa,
tutti presero posto nei banchi di legno, la bara fu deposta davanti
all'altare. Iniziò la funzione e tutti tacquero, rispondendo alle
litanie del parroco tutti insieme, nessuno che finisse prima o dopo,
e anche questo Agata non l'aveva mai compreso, per cui bisognava
attendere il secondo corteo, quello verso il cimitero, a fine
funzione, per poter attaccare bottone con qualcun altro. Intanto,
tutti avevano notato Agata, stupefatti dalla sua presenza, tutti
tranne il signor Lino, contento che qualcuno si fosse interessato
alla sua produzione agricola.
Finita che fu la cerimonia, la
bara venne portata con il carro funebre fino al cimitero, mentre il
secondo corteo avanzava, sempre lento, sempre con qualcuno che aveva
paura di pestare i piedi alla persona che aveva davanti. Agata aveva
pensato di continuare la conversazione agricola con il signor Lino,
ma questi era rimasto in fondo alla fila, per cui le sarebbe stato
impossibile.
Intravide la signora Elsa, con un
casco di capelli blu da far spavento. Di solito le vecchiette quando
vanno dalla “pettinatrice” (termine che usano anziché dire
parrucchiera) per la permanente, ne escono con i capelli leggermente
bluastri, con sfumature che vanno dal pallido azzurro ad un blu un
poco più accentuato, ma sono solo riflessi. La signora Elsa invece
aveva i capelli blu elettrico alla Lucia Bosè se non peggio. Agata
si trattenne dal ridere per quello che sicuramente era stato un
inconveniente della “pettinatrice” e le si avvicinò. La signora
Elsa la vide, ma guardò per terra, un po' perché non sapeva che
dire un po' per la vergogna per quei suoi capelli.
“Salve,
come va?” disse invece Agata, per nulla scoraggiata. L'ombra della
casa di riposo, infatti, era sempre presente nella sua mente.
“Ah,
bene grazie” tentennò la signora Elsa. Poi, come spinta da un
impulso irrefrenabile, sbottò:
“Lo
so, sono terribili. Ma che potevo farci? La pettinatrice ha una nuova
assistente e quella ha sbagliato le dosi di non so che, e adesso ho i
capelli così, avevo pensato di metterci un cappello, un foulard, ma
è tutto inutile” piagnucolò la signora Elsa.
Agata annuì.
“Non
le hanno proposto qualche soluzione?” chiese alla fata turchina.
“Ah,
sicuro! Volevano radermi a zero la testa, ecco cosa volevano fare!
Sarei sembrata un naziskin, un ultrà, una borseggiatrice di strada!”
rispose irosa la signora Elsa. Si capiva che, dalla pettinatrice, si
doveva essere svolta una lite furibonda.
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