Augurandovi un buon fine settimana, ecco per voi un piccolo estratto del libro, relativo ad uno dei personaggi, ovvero la signora Clementina-Osvalda. A presto e buona lettura!
Agata
La signora Clementina-Osvalda
Quando la vide in fotografia sul
giornale, sulla sua bicicletta, Agata non poté fare a meno di
sorridere. Era “tornata alla casa del Padre” la signora
Clementina, che si ostinava a farsi chiamare Osvalda dalla seconda
guerra mondiale. Osvalda, infatti, era il suo nome da staffetta
partigiana, un ruolo che aveva ricoperto quando era giovanissima,
poco più di una bambina, e che le aveva regalato gli anni migliori
della sua vita.
Pareva incredibile, ma la signora
Clementina-Osvalda era morta in un incidente in bici, si era infatti
intestardita a voler pedalare fino alla fine dei suoi giorni, e in
ultima non aveva visto una buca e aveva cappottato. Non era però per
questo che Agata sorrideva. Da un lato sorrideva perché in breve
tempo dal ritrovamento del volantino c'era già un altro funerale cui
partecipare, dall'altra perché sapeva che la signora Osvalda amava
solo il periodo della sua vita in cui era stata, per l'appunto,
staffetta partigiana, consegnando i messaggi segreti proprio grazie
alla sua bici.
La signora Clementina, infatti,
aveva un padre partigiano e aveva chiesto di poter partecipare anche
lei, di dare il suo contributo. Inizialmente il padre non ne voleva
sapere ma poi, vista l'insistenza della figlia, con gli altri capi
partigiani aveva deciso di affidarle dei compiti da staffetta
partigiana: in sella alla sua bicicletta la signora Clementina, nome
da partigiana Osvalda (Agata non aveva mai capito perché i
partigiani, molte volte, si fossero “battezzati” con nomi tanto
assurdi) portava messaggi cifrati, recapitava pacchetti, forniva
notizie.
Non era un compito facile, perché
doveva pedalare anche in montagna, e soprattutto era pericoloso
perché c'era sempre il rischio di essere perquisita e fermata dal
nemico, cosa che, però, non avvenne mai. Forse per il suo aspetto
gracile, che la faceva sembrare più piccola di quanto non fosse, al
nemico non doveva sembrare possibile che quella bimbetta costituisse
un pericolo.
La signora Osvalda era fiera di
ciò che faceva e nonostante il pericolo, o forse proprio per quello,
non rifiutò mai un compito che le era stato assegnato da qualche
partigiano. Alla fine della guerra suo padre e gli altri partigiani
le resero merito assegnandole un compenso simbolico, una nuova
bicicletta e una pergamena, tipo un attestato, che spiegava il suo
ruolo nella Resistenza.
La signora Osvalda era
felicissima, ma quando si ritornò alla vita di tutti i giorni, capì
che la staffetta partigiana era stata solo una parentesi, che ora
tutti si aspettavano che le donne tornassero a fare le donne. E
basta. Solo che la signora Osvalda non era il tipo da fare “solo la
donna”, sicché, mentre cresceva e diventava adulta, mentre era
riuscita a diventare maestra, dall'altro non si rassegnò mai alla
fine della sua vita da staffetta.
Così, impose a tutti di
chiamarla sempre Osvalda e mai più Clementina e con la bicicletta
nuova avuta in dono dai partigiani percorreva più volte alla
settimana gli stessi sentieri sui monti e in generale gli stessi
percorsi che aveva fatto molte volte durante la guerra. Era arrivata
al punto di scrivere messaggi per gente che non esisteva, messaggi
assurdi che parlavano di appostamenti, munizioni, operazioni segrete.
La famiglia aveva tentato di
farla ragionare, ma la signora Osvalda, che si guadagnava da vivere
facendo la maestra, appena poteva s'inventava queste scenette di cui
tutti erano a conoscenza, ma che tutti fingevano di ignorare.
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