venerdì 10 febbraio 2017

PICCOLA ANTICIPAZIONE DEL LIBRO, LA SIGNORA CLEMENTINA-OSVALDA

Augurandovi un buon fine settimana, ecco per voi un piccolo estratto del libro, relativo ad uno dei personaggi, ovvero la signora Clementina-Osvalda. A presto e buona lettura!

Agata 




La signora Clementina-Osvalda

Quando la vide in fotografia sul giornale, sulla sua bicicletta, Agata non poté fare a meno di sorridere. Era “tornata alla casa del Padre” la signora Clementina, che si ostinava a farsi chiamare Osvalda dalla seconda guerra mondiale. Osvalda, infatti, era il suo nome da staffetta partigiana, un ruolo che aveva ricoperto quando era giovanissima, poco più di una bambina, e che le aveva regalato gli anni migliori della sua vita.
Pareva incredibile, ma la signora Clementina-Osvalda era morta in un incidente in bici, si era infatti intestardita a voler pedalare fino alla fine dei suoi giorni, e in ultima non aveva visto una buca e aveva cappottato. Non era però per questo che Agata sorrideva. Da un lato sorrideva perché in breve tempo dal ritrovamento del volantino c'era già un altro funerale cui partecipare, dall'altra perché sapeva che la signora Osvalda amava solo il periodo della sua vita in cui era stata, per l'appunto, staffetta partigiana, consegnando i messaggi segreti proprio grazie alla sua bici.
La signora Clementina, infatti, aveva un padre partigiano e aveva chiesto di poter partecipare anche lei, di dare il suo contributo. Inizialmente il padre non ne voleva sapere ma poi, vista l'insistenza della figlia, con gli altri capi partigiani aveva deciso di affidarle dei compiti da staffetta partigiana: in sella alla sua bicicletta la signora Clementina, nome da partigiana Osvalda (Agata non aveva mai capito perché i partigiani, molte volte, si fossero “battezzati” con nomi tanto assurdi) portava messaggi cifrati, recapitava pacchetti, forniva notizie.
Non era un compito facile, perché doveva pedalare anche in montagna, e soprattutto era pericoloso perché c'era sempre il rischio di essere perquisita e fermata dal nemico, cosa che, però, non avvenne mai. Forse per il suo aspetto gracile, che la faceva sembrare più piccola di quanto non fosse, al nemico non doveva sembrare possibile che quella bimbetta costituisse un pericolo.
La signora Osvalda era fiera di ciò che faceva e nonostante il pericolo, o forse proprio per quello, non rifiutò mai un compito che le era stato assegnato da qualche partigiano. Alla fine della guerra suo padre e gli altri partigiani le resero merito assegnandole un compenso simbolico, una nuova bicicletta e una pergamena, tipo un attestato, che spiegava il suo ruolo nella Resistenza.
La signora Osvalda era felicissima, ma quando si ritornò alla vita di tutti i giorni, capì che la staffetta partigiana era stata solo una parentesi, che ora tutti si aspettavano che le donne tornassero a fare le donne. E basta. Solo che la signora Osvalda non era il tipo da fare “solo la donna”, sicché, mentre cresceva e diventava adulta, mentre era riuscita a diventare maestra, dall'altro non si rassegnò mai alla fine della sua vita da staffetta.
Così, impose a tutti di chiamarla sempre Osvalda e mai più Clementina e con la bicicletta nuova avuta in dono dai partigiani percorreva più volte alla settimana gli stessi sentieri sui monti e in generale gli stessi percorsi che aveva fatto molte volte durante la guerra. Era arrivata al punto di scrivere messaggi per gente che non esisteva, messaggi assurdi che parlavano di appostamenti, munizioni, operazioni segrete.
La famiglia aveva tentato di farla ragionare, ma la signora Osvalda, che si guadagnava da vivere facendo la maestra, appena poteva s'inventava queste scenette di cui tutti erano a conoscenza, ma che tutti fingevano di ignorare.

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